…Il
canto di Ulisse. Chissà come e perché mi è venuto in mente: ma non
abbiamo tempo di scegliere, quest’ora già non è più un’ora. Se
Jean è intelligente capirà. Capirà: oggi mi sento da tanto.
…Chi
è Dante. Che cosa è la Commedia. Quale sensazione curiosa di novità
si prova, se si cerca di spiegare in breve che cosa è la Divina
Commedia. Come è distribuito l’Inferno, cosa è il contrappasso.
Virgilio è la Ragione, Beatrice la Teologia.
Jean
è attentissimo, ed io comincio, lento e accurato:
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò
a crollarsi mormorando,
Pur
come quella cui vento affatica.
Indi,
la cima in qua e in là menando
Come
fosse la lingua che parlasse
Mise
fuori la voce, e disse: Quando…
Qui mi fermo e cerco di tradurre. Disastroso: povero Dante e povero francese! Tuttavia l’esperienza pare che prometta bene: Jean ammira la bizzarra similitudine della lingua, e mi suggerisce il termine appropriato per rendere “antica”.
E
dopo “Quando”? Il nulla, Un buco della memoria. “Prima che sì
Enea la nominasse”. Altro buco. Viene a galla qualche frammento non
utilizzabile: “…la pietà Del vecchio padre, né’l debito amore
Che doveva Penelope far lieta…” sarà poi esatto?…Ma
misi me per l’alto mare
Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché “misi me” non è “je me mis”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là della barriera, noi conosciamo bene questo impulso. L’alto mare aperto: Pikolo ha viaggiato per mare e sa cosa vuol dire, è quando l’orizzonte si chiude su se stesso, libero diritto e semplice, e non c’è ormai che odore di mare: dolci cose ferocemente lontane.
Siamo
arrivati a Kraftwerk, dove lavora il Kommando dei posacavi. Ci
dev’essere l’ingegner Levi. Eccolo, si vede solo la testa fuori
dalla trincea. Mi fa un cenno con la mano, è un uomo in gamba, non
l’ho mai visto giù di morale, non parla mai di mangiare.
“mare
aperto”. “Mare aperto”. So che rima con “diserto”: “…quella
compagna Picciola, dalla qual non fui diserto”, ma non rammento più
se viene prima o dopo. E anche il viaggio, il temerario viaggio al di
là delle colonne d’Ercole, che tristezza, sono costretto a
raccontarlo in prosa: un sacrilegio. Non ho salvato che un verso, ma
vale la pena di fermarcisi:
…Acciò
che l’uom più oltre non si metta.
“Si
metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa
espressione di prima, “ e misi me”. Ma non ne faccio parte a
Jean, non sono sicuro che sia un’osservazione importante. Quante
altre cose ci sarebbero da dire, e il sole è già alto, mezzogiorno
è vicino. Ho fretta, una fretta furibonda.
Ecco,
attento Pikolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate
la vostra semenza:
Fatte
non foste a viver come bruti,
Ma
per seguir virtute e conoscenza.
Come
se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di
tromba, come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono
e dove sono.
Pikolo
mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta
facendo bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la
traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto
il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli
uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che
osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle
spalle.
Li
miei compagni fec’io sì acuti…
…e
mi sforzo, ma invano, di spiegare quante cose vuol dire questo
“acuti”. Qui ancora una lacuna, questa volta irreparabile. “…Lo
lume era di sotto della luna” o qualcosa di simile; ma prima?…
Nessuna idea, “keine Ahnung” come si dice qui. Che Pikolo mi
scusi, ho dimenticato almeno quattro terzine.
-ça
ne fait rien, vas-y tout de meme.
…Quando
mi apparve una montagna, bruna
Per
la distanza, e parvemi alta tanto
Che
mai veduta non ne avevo alcuna.
Sì,
sì, “alta tanto”, non “molto alta”, proposizione
consecutiva. E le montagne, quando si vedono di lontano…le
montagne…oh Pikolo, Pikolo, di’ qualcosa, parla, non lasciarmi
pensare alle mie montagne, che comparivano nel bruno della sera
quando tornavo in treno da Milano a Torino!
Basta,
bisogna proseguire, queste sono cose che si pensano ma non si dicono.
Pikolo attende e mi guarda.
Darei
la zuppa di oggi per sapere saldare “non ne avevo alcuna” col
finale. Mi sforzo di ricostruire per mezzo delle rime, chiudo gli
occhi, mi mordo le dita: ma non serve, il resto è silenzio. Mi danno
per il capo altri versi: “…la terra lagrimosa diede vento…”
no, è un’altra cosa. E’ tradi, è tradi, siamo arrivati alla
cucina, bisogna concludere:
Tre
volte il fe’ girar con tutte l’acque,
alla
quarta levar la poppa in suso
E
la prora ire in giù, come altrui piacque…
Trattengo
Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che
comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo
tardi, domani lui o io possiamo essere morti, o non vederci mai più,
devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e
pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco
che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo,
forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui…
Siamo
oramai nella fil per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e
sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci
si accalcano alle spalle. –Kraut und Ruben?- Kraut
und Ruben-. Si annuncia ufficialmente che oggi la
zuppa è di cavoli e rape: -Choux et navets.- Kaposzta
es repark.
Infin
che’l mar fu sopra noi rinchiuso
(Primo
Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1976,
pp. 100 - 103)
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