DIALETTICA
DELL’ILLUMINISMO
L’INDUSTRIA
CULTURALE
L'atrofia
dell'immaginazione e spontaneità del consumatore culturale odierno
non ha bisogno di essere ricondotta a meccanismi psicologici. I
prodotti stessi, a partire dal più tipico, il film sonoro,
paralizzano quelle facoltà perla loro stessa costituzione oggettiva.
Essi sono fatti in modo che la loro apprensione adeguata esige bensì
prontezza d'intuito, doti di osservazione, competenza specifica, ma
anche da vietare addirittura l'attività mentale dello spettatore, se
questi non vuol perdere i fatti che gli passano rapidamente
davanti[…]
La
violenza della società industriale opera negli uomini una volta per
tutte. I prodotti dell'industria culturale possono contare di essere
consumati alacremente anche in stato di distrazione. Ma ciascuno di
essi è un modello del gigantesco meccanismo economico che tiene
tutti sotto pressione fin dall'inizio, nel lavoro e nel riposo che
gli assomiglia. Da ogni film sonoro, da ogni trasmissione radio, si
può desumere ciò che non si potrebbe ascrivere ad effetto di
ciascuno di essi singolarmente, ma solo di tutti insieme nella
società. Immancabilmente ogni singola manifestazione dell'industria
culturale riproduce gli uomini come ciò che li ha già resi
l'industria culturale intera. […]
Solo
l'obbligo di inserirsi continuamente, sotto le minacce più gravi,
come esperto estetico nella vita industriale, ha definitivamente
asservito l'artista. Un tempo essi firmavano le loro lettere, come
Kant e Hume, “ servo umilissimo ”, e intanto minavano le basi del
trono e dell'altare. Oggi chiamano per nome i capi di governo e sono
sottomessi, in ogni impulso artistico, al giudizio dei loro
principali illetterati. L'analisi data da Tocqueville cento anni fa
si è nel frattempo pienamente avverata. Sotto il monopolio privato
della cultura accade realmente che “la tirannia lascia libero il
corpo e investe direttamente l'anima. Là il padrone non dice più:
devi pensare come me o morire. Ma dice: sei libero di non pensare
come me, la tua vita, i tuoi beni, tutto ti sarà lasciato, ma da
questo momento sei un intruso fra noi ”. Chi non si adegua è
colpito da un'impotenza economica che si prolunga nella impotenza
spirituale dell'isolato. Escluso dall'industria, è facile
convincerlo d'insufficienza. Mentre ormai, nella produzione
materiale, il meccanismo della domanda e dell'offerta è in corso di
dissoluzione, esso opera nella sovrastruttura come controllo a
vantaggio dei padroni. I consumatori sono gli operai e impiegati,
farmers
e piccoli borghesi. La totalità delle istituzioni esistenti li
imprigiona talmente corpo ed anima che essi soggiacciono senza
resistenza a tutto ciò che viene loro offerto. E come i dominati
hanno preso sempre la morale che veniva loro dai signori più
sul serio di questi ultimi, così oggi le masse ingannate
soggiacciono, più ancora dei fortunati, al mito del successo [...]
Giudizio
critico e competenza sono banditi come presunzione di chi si crede
superiore agli altri, mentre la cultura democraticamente, ripartisce
i suoi privilegi fra tutti […]
Ma
il nuovo è che gli elementi inconciliabili della cultura, arte e
svago, vengano ridotti attraverso la loro sottomissione allo scopo,
ad un solo falso denominatore: la totalità dell’industria
culturale. Essa consiste nella ripetizione. Che le sue innovazioni
tipiche consistano sempre solo in miglioramenti della produzione di
massa, non è affatto estrinseco al sistema. A ragione l’interesse
di innumerevoli consumatori va tutto alla tecnica, e non ai contenuti
rigidamente ripetuti, intimamente svuotati e già mezzo abbandonati.
[…]
Ciononostante
l’industria culturale rimane l’industria del divertimento [...]
L’amusement è il prolungamento del lavoro sotto il tardo
capitalismo. Esso è cercato da chi vuol sottrarsi al processo di
lavoro meccanizzato per essere di nuovo in grado di affrontarlo. Ma
nello stesso tempo la meccanizzazione ha acquistato tanto potere
sull’uomo durante il temppo libero e sulla sua felicità, determina
così integralmente la fabbricazione dei prodotti di svago, che egli
non può più apprendere altro che le copie e le riproduzioni del
processo lavorativo stesso. […]Al processo lavorativo nella
fabbrica e nell’ufficio si può sfuggire solo adeguandosi ad esso
nell’ozio. Di ciò soffre inguaribilmente ogni amusement. Il
piacere si irrigidisce in noia, poiché, per restare piacere, non
deve costare altro sforzo, e deve quindi muoversi strettamente nei
binari delle associazioni consuete. Lo spettatore non deve lavorare
di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione: non per il suo
contesto oggettivo – che si squaglia appena si rivolge alla facoltà
pensante – ma attraverso segnali. Ogni connessione logica, che
richieda fiato intellettuale, viene scrupolosamente evitata. Gli
sviluppi devono scaturire ovunque possibile dalla situazione
immediatamente precedente, e non dall’idea del tutto […]
Già
oggi le opere d'arte, come parole d'ordine politiche, vengono
adattate opportunamente dall'industria culturale, inculcate a prezzi
ridotti a un pubblico riluttante, e il loro uso diventa accessibile
al popolo come quello dei parchi. Ma la dissoluzione del loro
autentico carattere di merce non significa che esse siano
custodite e salvate nella vita di una libera società, ma che è
venuta meno anche l'ultima garanzia contro la loro degradazione
a beni culturali. L 'abolizione del privilegio culturale per
liquidazione e svendita non introduce le masse ai domini già
loro preclusi, ma contribuisce, nelle condizioni sociali attuali,
proprio alla rovina della cultura, al progresso della barbarica
assenza di relazioni.[…]
La cultura è una merce
paradossale talmente soggetta alla legge dello scambio che non è più
neppure scambiata; si risolve così ciecamente nell'uso che non è
più possibile utilizzarla. Perciò si fonde con la reclame, che
diventa sempre più onnipotente quanto più sembra assurda dove la
concorrenza è puramente apparente.[…]
Nella
società concorrenziale la reclame adempiva alla funzione sociale di
orientare il compratore sul mercato, facilitava la scelta e aiutava
il fornitore più abile ma finora sconosciuto a far giungere la sua
merce agli interessati. Essa non solo costava, ma risparmiava
tempo-lavoro. Ora che il libero mercato volge alla fine, si trincera,
in essa, il dominio del sistema. Essa ribadisce il vincolo che lega i
consumatori alle grandi ditte. Solo chi può pagare correntemente le
tasse esorbitanti rilevate dalle agenzie pubblicitarie, e in primo
luogo dalla radio stessa, e cioè chi fa già parte del sistema o
viene cooptato espressamente, può entrare come venditore sullo
pseudomercato. Le spese di pubblicità, che finiscono per rifluire
nelle tasche dei monopoli, evitano di dover schiacciare ogni volta la
concorrenza di outsiders
sgraditi; garantiscono che i padroni del vapore restino entre
soi, in
circolo chiuso, non dissimili, in ciò, dalle
deliberazioni
dei consigli economici che, nello stato totalitario, controllano
l'apertura di nuove aziende o la gestione di quelle esistenti.
(Horkheimer
- Adorno, Dialettica
dell'illuminismo,
Torino 1966; pp. 136-137, 142-144, 172-175)