L'illuminismo, nel
senso piú ampio di pensiero
in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di
togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra
interamente illuminata splende all'insegna di trionfale sventura. Il
programma dell'illuminismo era di liberare il mondo dalla magia. Esso
si proponeva di dissolvere i miti e di rovesciare l'immaginazione con
la scienza. Bacone, «il padre della filosofia sperimentale»', ha
già raccolto i vari motivi[…]
Benché alieno dalla
Matematica, Bacone ha saputo cogliere esattamente l'animus della
scienza successiva. Il felice connubio, a cui egli pensa, fra
l'intelletto umano e la natura delle cose, è di tipo patriarcale:
l'intelletto che vince la superstizione deve comandare alla natura
disincantata. Il sapere, che è potere non conosce limiti, né
nell'asservimento delle creature, né nella sua docile acquiescenza
ai signori del mondo. Esso è a disposizione, come di tutti gli scopi
dell'economia borghese, nella fabbrica e sul campo di battaglia, cosí
di tutti gli operatori senza riguardo alla loro origine. I re non
dispongono della tecnica piú direttamente di quanto ne dispongano i
mercanti: essa è democratica come il sistema economico in cui si
sviluppa. La tecnica è l'essenza di questo sapere. Esso non tende a
concetti e ad immagini, alla felicità della conoscenza, ma al
metodo, allo sfruttamento del lavoro altrui, al capitale. Tutte le
scoperte che riserva ancora secondo Bacone, sono a loro volta solo
strumenti: la radio come stampa sublimata, il caccia come artiglieria
piú efficiente, la teleguida come bussola più sicura. Ciò che gli
uomini vogliono apprendere dalla natura, come utilizzarla ai fini del
dominio integrale della natura e degli uomini. Non c'è altro che
tenga. Privo di riguardi verso se stesso, l'illuminismo ha bruciato
anche l'ultimo resto della propria autocoscienza. Solo il pensiero
che fa violenza a se stesso è abbastanza duro per infrangere i miti.
[…]
D'ora
in poi la materia dev'essere dominata al di fuori di ogni illusione
di forze ad essa superiori o in essa immanenti, di qualità occulte.
Ciò che non si piega al criterio del calcolo e dell'utilità, è,
agli occhi dell'illuminismo, sospetto. E quando l'illuminismo può
svilupparsi indisturbato da ogni oppressione esterna, non c'è piú
freno. Alle sue stesse idee sui diritti degli uomini finisce per
toccare la sorte dei vecchi universali. Ad ogni resistenza spirituale
che esso incontra, la sua forza non fa che aumentare.”
(M. Horkheimer - Th.
W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo,
a cura di R. Solmi, introduzione di C. Galli, Einaudi, Torino 1997,
pp. 12-14)
“In un racconto
omerico è custodito
il nesso di mito, do minio e lavoro. Il dodicesimo canto dell'Odissea
narra del passaggio davanti alle Sirene. […] La sua via fu quella
dell'obbedienza e del lavoro, su cui la soddisfazione brilla
eternamente come pura apparenza, come bellezza impotente. Il pensiero
di Odisseo, ugualmente ostile alla propria morte e alla propria
felicità, sa di tutto questo. Egli conosce due sole possibilità di
scampo. Una è quella che prescrive ai compagni. Egli tappa le loro
orecchie con la cera, e ordina loro di remare a tutta forza. Chi vuol
durare e sussistere, non deve porgere ascolto al richiamo
dell'irrevocabile, e può farlo solo in quanto non è
in grado di ascoltate. E' ciò a cui la società
ha provveduto da sempre. Freschi e concentrati, i lavoratori devono
guardare in avanti, e lasciar stare tutto ciò che è a lato.
L'impulso che li indurrebbe a deviare va sublimato - con rabbiosa
amarezza in ulteriore sforzo. Essi diventano pratici. L'altra
possibilità è quella che sceglie Odisseo, il signore terriero, che
fa lavorare gli altri per sé. Egli ode, ma impotente, legato
all'albero della nave, e piú la tentazione diventa forte, e piú
strettamente si fa legare, così come, piú tardi, anche i borghesi
sì negheranno piú tenacemente la felicità quanto più - crescendo
la loro potenza - l'avranno a portata di mano. Ciò che ha udito
resta per lui senza seguito: egli non può che accennare col capo di
slegarlo, ma è ormai troppo tardi: i compagni, che non odono nulla,
sanno solo del pericolo del canto, e non della sua bellezza, e lo
lasciano legato all'albero, per salvarlo e per salvare sé con lui.
Essi riproducono, con la propria, la vita dell'oppressore, che non
può piú uscire dal suo
ruolo sociale. Gli stessi vincoli con cui si è
legato irrevocabilmente alla prassi, tengono le
Sirene lontano dalla prassi: la loro tentazione è neutralizzata a
puro oggetto di contemplazione, ad arte. L'incatenato assiste ad un
concerto, immobile come i futuri ascoltatori, e il suo grido
appassionato, la sua richiesta di liberazione, muore già in un
applauso. Cosí il godimento artistico e il lavoro manuale si
separano all'uscita dalla preistoria. L'epos contiene già la teoria
giusta. Il patrimonio culturale sta in esatto rapporto col lavoro
comandato, e l'uno e l'altro hanno il loro fondamento nell'obbligo
ineluttabile del dominio sociale sulla natura.”
(M. Horkheimer - Th. W.
Adorno, Dialettica dell'illuminismo,
a cura di R. Solmi, introduzione di C. Galli, Einaudi, Torino 1997,
pp. 39-43)
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