mercoledì 24 aprile 2013

ancora in trasferta...


DIALETTICA DELL’ILLUMINISMO
L’INDUSTRIA CULTURALE

L'atrofia dell'immaginazione e spontaneità del consumatore culturale odierno non ha bisogno di essere ricondotta a meccanismi psicologici. I prodotti stessi, a partire dal più tipico, il film sonoro, paralizzano quelle facoltà perla loro stessa costituzione oggettiva. Essi sono fatti in modo che la loro apprensione adeguata esige bensì prontezza d'intuito, doti di osservazione, competenza specifica, ma anche da vietare addirittura l'attività mentale dello spettatore, se questi non vuol perdere i fatti che gli passano rapidamente davanti[…]
La violenza della società industriale opera negli uomini una volta per tutte. I prodotti dell'industria culturale possono contare di essere consumati alacremente anche in stato di distrazione. Ma ciascuno di essi è un modello del gigantesco meccanismo economico che tiene tutti sotto pressione fin dall'inizio, nel lavoro e nel riposo che gli assomiglia. Da ogni film sonoro, da ogni trasmissione radio, si può desumere ciò che non si potrebbe ascrivere ad effetto di ciascuno di essi singolarmente, ma solo di tutti insieme nella società. Immancabilmente ogni singola manifestazione dell'industria culturale riproduce gli uomini come ciò che li ha già resi l'industria culturale intera. […]

Solo l'obbligo di inserirsi continuamente, sotto le minacce più gravi, come esperto estetico nella vita industriale, ha definitivamente asservito l'artista. Un tempo essi firmavano le loro lettere, come Kant e Hume, “ servo umilissimo ”, e intanto minavano le basi del trono e dell'altare. Oggi chiamano per nome i capi di governo e sono sottomessi, in ogni impulso artistico, al giudizio dei loro principali illetterati. L'analisi data da Tocqueville cento anni fa si è nel frattempo pienamente avverata. Sotto il monopolio privato della cultura accade realmente che “la tirannia lascia libero il corpo e investe direttamente l'anima. Là il padrone non dice più: devi pensare come me o morire. Ma dice: sei libero di non pensare come me, la tua vita, i tuoi beni, tutto ti sarà lasciato, ma da questo momento sei un intruso fra noi ”. Chi non si adegua è colpito da un'impotenza economica che si prolunga nella impotenza spirituale dell'isolato. Escluso dall'industria, è facile convincerlo d'insufficienza. Mentre ormai, nella produzione materiale, il meccanismo della domanda e dell'offerta è in corso di dissoluzione, esso opera nella sovrastruttura come controllo a vantaggio dei padroni. I consumatori sono gli operai e impiegati, farmers e piccoli borghesi. La totalità delle istituzioni esistenti li imprigiona talmente corpo ed anima che essi soggiacciono senza resistenza a tutto ciò che viene loro offerto. E come i dominati hanno preso sempre la morale che veniva loro dai  signori più sul serio di questi ultimi, così oggi le masse ingannate soggiacciono, più ancora dei fortunati, al mito del successo [...]

Giudizio critico e competenza sono banditi come presunzione di chi si crede superiore agli altri, mentre la cultura democraticamente, ripartisce i suoi privilegi fra tutti […]

Ma il nuovo è che gli elementi inconciliabili della cultura, arte e svago, vengano ridotti attraverso la loro sottomissione allo scopo, ad un solo falso denominatore: la totalità dell’industria culturale. Essa consiste nella ripetizione. Che le sue innovazioni tipiche consistano sempre solo in miglioramenti della produzione di massa, non è affatto estrinseco al sistema. A ragione l’interesse di innumerevoli consumatori va tutto alla tecnica, e non ai contenuti rigidamente ripetuti, intimamente svuotati e già mezzo abbandonati. […]
Ciononostante l’industria culturale rimane l’industria del divertimento [...] L’amusement è il prolungamento del lavoro sotto il tardo capitalismo. Esso è cercato da chi vuol sottrarsi al processo di lavoro meccanizzato per essere di nuovo in grado di affrontarlo. Ma nello stesso tempo la meccanizzazione ha acquistato tanto potere sull’uomo durante il temppo libero e sulla sua felicità, determina così integralmente la fabbricazione dei prodotti di svago, che egli non può più apprendere altro che le copie e le riproduzioni del processo lavorativo stesso. […]Al processo lavorativo nella fabbrica e nell’ufficio si può sfuggire solo adeguandosi ad esso nell’ozio. Di ciò soffre inguaribilmente ogni amusement. Il piacere si irrigidisce in noia, poiché, per restare piacere, non deve costare altro sforzo, e deve quindi muoversi strettamente nei binari delle associazioni consuete. Lo spettatore non deve lavorare di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione: non per il suo contesto oggettivo – che si squaglia appena si rivolge alla facoltà pensante – ma attraverso segnali. Ogni connessione logica, che richieda fiato intellettuale, viene scrupolosamente evitata. Gli sviluppi devono scaturire ovunque possibile dalla situazione immediatamente precedente, e non dall’idea del tutto […]

Già oggi le opere d'arte, come parole d'ordine politiche, vengono adattate opportunamente dall'industria culturale, inculcate a prezzi ridotti a un pubblico riluttante, e il loro uso diventa accessibile al popolo come quello dei parchi.  Ma la dissoluzione del loro autentico carattere di merce  non significa che esse siano custodite e salvate nella vita  di una libera società, ma che è venuta meno anche l'ultima  garanzia contro la loro degradazione a beni culturali. L 'abolizione del privilegio culturale per liquidazione e svendita  non introduce le masse ai domini già loro preclusi, ma contribuisce, nelle condizioni sociali attuali, proprio alla rovina  della cultura, al progresso della barbarica assenza di relazioni.[…]

La cultura è una merce paradossale talmente soggetta alla legge dello scambio che non è più neppure scambiata; si risolve così ciecamente nell'uso che non è più possibile utilizzarla. Perciò si fonde con la reclame, che diventa sempre più onnipotente quanto più sembra assurda dove la concorrenza è puramente apparente.[…]

Nella società concorrenziale la reclame adempiva alla funzione sociale di orientare il compratore sul mercato, facilitava la scelta e aiutava il fornitore più abile ma finora sconosciuto a far giungere la sua merce agli interessati. Essa non solo costava, ma risparmiava tempo-lavoro. Ora che il libero mercato volge alla fine, si trincera, in essa, il dominio del sistema. Essa ribadisce il vincolo che lega i consumatori alle grandi ditte. Solo chi può pagare correntemente le tasse esorbitanti rilevate dalle agenzie pubblicitarie, e in primo luogo dalla radio stessa, e cioè chi fa già parte del sistema o viene cooptato espressamente, può entrare come venditore sullo pseudomercato. Le spese di pubblicità, che finiscono per rifluire nelle tasche dei monopoli, evitano di dover schiacciare ogni volta la concorrenza di outsiders sgraditi; garantiscono che i padroni del vapore restino entre soi, in circolo chiuso, non dissimili, in ciò, dalle
deliberazioni dei consigli economici che, nello stato totalitario, controllano l'apertura di nuove aziende o la gestione di quelle esistenti.

(Horkheimer - Adorno, Dialettica dell'illuminismo, Torino 1966; pp. 136-137, 142-144, 172-175)

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